Uno dei ricordi più cari che conservo del mio periodo di volontariato a Kathamandu é il sorriso dei nepalesi, un popolo sereno e accogliente che fa dell’ospitalità uno dei suoi tratti più distintivi.
Ho trascorso un mese nel bellissimo monastero Jovo Kadampa, nella periferia nord-est di Kathmandu, a insegnare inglese ai dolci e vivaci monacini.
Ogni giorno, dopo pranzo, per caricare le batterie prima di affrontare la lezione pomeridiana, percorrevo con gli altri volontari il tratto di strada dal monastero a uno dei siti artistici più importanti di Kathamandu, il Boudhanath. Il terremoto dello scorso anno ha purtroppo danneggiato gravemente questo fantastico stupa, un monumento buddista meta di pellegrini locali e turisti.
Camminando per la strada impolverata, fra clacsonate impietose e capre, capitava spesso di essere salutate dai bambini, che ci rincorrevano per un po’ agitando le manine e urlando “Namaste”. Altri ci affiancavano e ci domandavano da dove venivamo e se ci piacevano il Nepal e i nepalesi. Queste domande erano sicuramente un modo per loro di parlare inglese (i giovani lo imparano a scuola e sono felicissimi di praticarlo con gli stranieri) e di intrattenersi qualche istante con qualcuno che viene dall’altra parte del mondo, per noi era invece un’occasione unica di avvicinarci ai locali e scoprire questa loro cultura dell’ospitalità.
Più di una volta é successo che siamo state invitate a bere un tè caldo o a prendere il posto di qualcuno sui pulmini scassati, solo perché venivamo considerati ospiti del loro paese e avevamo il diritto di essere trattati in maniera speciale. Ovviamente il turismo é molto importante per l’economia del piccolo stato himalayano, i turisti sono da trattare con la massima cortesia. Tuttavia, credo che il loro calore non sia dovuto solamente a un mero interesse economico, anzi! Il loro saluto cordiale e sorridente é, secondo me, l’espressione autentica di quello che io considero il tratto umano nepalese.
Nei nostri avanzatissimi e benestanti paesi, siamo ormai abituati a non salutare chi si trova per strada ( e non parlo solo delle grandi città ), Kathmandu mi ha fatto riscoprire invece il piacere delle buone relazioni umane, nelle quali non si prova diffidenza nei confronti di chi ha la pelle o la forma degli occhi diversa dalla tua. I nepalesi vedono il diverso e gli vanno incontro, noi spesso e volontieri, nella stessa situazione, scappiamo.
Mai dimenticherò le loro simpatiche teste che ciondolavano in segno di assenso e i sorrisi sdentati delle nonnette, le cui rughe sulla pelle erano come inchiostro sulle pagine del libro della loro vita, spesso dura, ma coraggiosa.
Serena Collina